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Il profumo dei sogni

Tomaso diede a Camelia un’ora di tempo.

Entro il quarto ballabile, pensò, troverà il modo di rivolgermi la parola.

Così, con un bicchiere in mano, si era appoggiato al tronco della magnolia, osservando con occhi sottili l’ordinata confusione della danza.

Quando percepì un rumore ovattato di passi alle sue spalle, fu subito consapevole che si trattava di lei.

- Permettete una parola, Tomaso?

Quante volte, in quegli anni, aveva fantasticato su un loro possibile incontro. Quante volte aveva immaginato in ogni minimo particolare come si sarebbe comportato, cosa le avrebbe detto. Con quanta freddezza e con quanto disprezzo l’avrebbe trattata.

Non si girò. Bevve un lungo sorso dal bicchiere e continuò a osservare le coppie che ballavano, perdendosi e ritrovandosi nella convulsa geometria della quadriglia.

- Non vi permetterò di farlo, Tomaso. Non vi permetterò di comportarvi come se io non esistessi.

Gli si era posta di fronte, e lui non poteva non guardarla. Il porpora dell’abito rendeva ancora più pallido il suo viso altero. Gli occhi erano due pozzi fondi, nel buio di quell’angolo in ombra.

Tomaso distolse lo sguardo con un senso di fastidio. – Voi non esistete, signora.

Lei si morse nervosamente le labbra. - Sono venuta qui solo per vedervi.

- E’ una cosa che non posso impedirvi di fare.

- E per parlare con voi.

- Ahimé, per questo bisogna essere in due.

Ci fu un lungo silenzio. Tomaso era immobile, assolutamente noncurante, eppure tutti i suoi sensi erano all’erta. Percepiva il profumo della donna e riusciva ad avvertire persino il suo respiro. Leggermente affrettato nel buio della notte.

- Siete fidanzato con la giovane Eugenia?

Lui non rispose.

- Perché, se siete fidanzato con lei, non sarete felice.

Ancora silenzio. Un silenzio così carico di tensione da essere quasi insopportabile.

- Io sono sicura che non mi avete dimenticato. Come io non ho dimenticato voi.

Tomaso bevve ancora, con pigra lentezza. Sembrava perfettamente a proprio agio, e Camelia si innervosì.

- Voglio chiedervi di perdonarmi.

Lui girò leggermente il viso dalla sua parte, ma con gli occhi sempre fissi sulle coppie che ballavano. Il suo profilo emerse dall’oscurità duro e affilato.

- E poi mi lascerete in pace?

- Mi perdonate?

Finalmente la guardò. Prese nota del viso tirato e pallido, degli occhi lucidi come vetro.

- Mi è indifferente se perdonarvi o no. - La sua voce era così tagliente da incidere il silenzio. - Quindi vi perdonerò solo affinché vi togliate di torno.

Lei per qualche istante non riuscì a parlare. – Questo vostro atteggiamento è molto chiaro, Tomaso – disse poi. – Evitate di guardarmi, non volete rivolgermi la parola… Io credo che abbiate paura dei sentimenti che nutrite ancora per me. Vostro malgrado.

Lui si strinse appena nelle spalle. – Se questo soddisfa il vostro orgoglio, credetelo pure. Non perderò il mio tempo a contraddirvi.

Ci fu ancora del silenzio. Vibrò tra loro carico di qualcosa che nessuno dei due voleva manifestare.

Poi Camelia fece un passo verso di lui e gli fu vicinissima. - Vi prego di ballare con me – disse con voce incrinata.

- Davvero, signora, mi state infastidendo.

- Voglio dimostrarvi che non siete riuscito a dimenticarmi.

- Certo che non vi ho dimenticata. Come potrei aver dimenticato quello che è accaduto? Ma la prima cosa che vi ho detto è assolutamente vera. Voi non esistete più. Adesso vogliate scusarmi. Eugenia mi aspetta per il prossimo valzer.

Mentre camminava in direzione della ragazza, dovette esercitare un ferreo controllo sulle proprie emozioni. Niente traspariva dal suo viso imperscrutabile, ma non poteva negare che quel breve scambio lo avesse innervosito. Innervosito e irritato.

Vedendolo avvicinarsi, Eugenia si era alzata dalla sua seggiola con un luminoso sorriso di aspettativa.

Senza una parola, lui le catturò la mano e la guidò verso lo spazio destinato alle danze. Lì le cinse la vita con il braccio e aspettò, immobile, che la musica cominciasse. Consapevole della collera che gli stava montando dentro.

Tomaso ballò quel valzer furiosamente, mettendo nell’abbraccio e nelle giravolte un impeto che non poteva passare inosservato allo sguardo avido di una donna gelosa. Ballò con violenza e passione, ma ballò per Camelia. Si odiò per questo. Imprecò contro di sé, bastardo depravato. Trascinava Eugenia con guida sicura nel vortice travolgente della danza, la stringeva a sé più di quanto fosse consentito dalle convenienze, e sapeva che era soltanto per ferire Camelia. Per punirla. Ancora e sempre.

Perché gli aveva mentito. Perché aveva finto di amarlo. Perché aveva tradito la sua fiducia.

Tra le braccia imperiose di Tomaso, Eugenia perse il tempo, poi cercò di riprenderlo, affannata e incapace di capire cosa stesse accadendo. Lui se ne accorse, ma non rallentò il ritmo per concederle un attimo di tregua. Non gli importava. Continuò il suo ballo forsennato, come se fosse stato posseduto da un demone.

Camelia era tornata, pensò, e adesso stava camminando sul filo tagliente di una lama. Senza avere la più pallida idea di quanto lui l’odiasse ancora. Di sicuro pensava che sarebbe stato facile riconquistarlo. Le donne molto sicure del proprio fascino tendono a sopravalutarsi.

Il valzer finì ed Eugenia si staccò bruscamente da lui, le guance arrossate e il respiro ansante.

- Cosa succede, Tomaso?

- Perché? Dovevamo ballare un valzer ed è quello che abbiamo fatto.

– Ah, si trattava di un valzer? Non credo di essermene accorta. Sembrate furioso. Ho fatto qualcosa che vi è dispiaciuto?

Davanti ai suoi grandi occhi attoniti, Tomaso si odiò ancora di più per come si stava comportando.

- Voi non potreste fare mai qualcosa che mi dispiaccia, Eugenia – disse, cupo. - E’ molto più probabile che sia io a fare qualcosa che dispiaccia a voi.

Brano scelto e adattato dall'autrice
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