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Un grido nel buio - II parte

di Ornella Albanese
Romanzo breve
pubblicato su GIOIA

Kenneth andò a prendersi una sigaretta. Era impallidito e le mani gli tremavano in modo visibile.

- Cosa c’è? – gli chiese lei con un tono più dolce.

- C’è che... che mi sento a disagio... – rispose l’uomo, ma piano, cercando di guadagnare tempo. Il suo cervello intanto lavorava in modo convulso.

Myrtle era viva. Era tornata e lo avrebbe mandato via. Ma chi era morto al suo posto, sulla sua auto?

- Perdonami, avrei già dovuto lasciare la casa e invece mi hai trovato ancora qui. Il mio appartamento sarà pronto fra una settimana. – Aveva parlato seguendo l’istinto. Di sicuro lei non sapeva cos’era accaduto durante la sua assenza.

- Non prendertela, puoi restare tutto il tempo che ti serve – lo rassicurò Myrtle. – Quando sono partita ero furiosa e forse il mio ultimatum è stato eccessivo. Adesso vedo le cose con maggiore serenità.

Kenneth si rilassò e tornò a guardarla. Era davvero splendida, non l’aveva mai vista così bella. La carnagione abbronzata appariva liscia e morbida, i capelli si erano schiariti col sole e alcune ciocche avevano riflessi lunari, gli occhi erano di un azzurro limpido e lucente.

illustrazione del romanzo: Un grido nel buio

- Dove sei stata tutto questo tempo? – le chiese.

- Al sole, su una spiaggia bianchissima con un mare di cristallo. Tutto qui mi sembra così sbiadito, al confronto.

- Anche gli uomini immagino, se li confronti con quelli che hai incontrato. Sei così euforica che deve per forza esserci un uomo di mezzo – disse Kenneth, e nella sua voce si avvertiva una nota di amarezza.

- Sì – annuì Myrtle seria. – E’ successo anche se non volevo. E’ nato tutto da un gioco. Ho finto di essere un’altra, capisci? Una segretaria di medio livello che aveva risparmiato un anno per potersi permettere quella vacanza. Tu non ci crederai, ma lui si è innamorato di me senza sapere nulla dei miei soldi.

- Molto romantico – commentò Kenneth asciutto. – E scommetto che il suo ardore ha avuto un picco quando ha saputo che sei Myrtle Kendall.

- Invece ti sbagli perché non lo sa. Non ancora, perlomeno. Per le spiegazioni ci sarà tempo. Ho imparato a essere diffidente, Kenneth, gli ho lasciato il mio cellulare e, se mi cercherà, vuol dire che tiene davvero a me.

Kenneth scosse la testa. – Sei incredibile, Myrtle. Tu vorresti vivere in una specie di favola, invece la vita è un’altra cosa. Una segretaria di medio livello con un’auto da miliardaria, non farmi ridere!

- No, niente auto. L’ho lasciata in stazione, ma devono averla rimossa perché non era più lì. Così ho preso un taxi.

“Nessuno l’ha incontrata” pensò Kenneth. “E’ tardi, piove, nessuno l’ha vista, per questo non sa ancora niente. Charles Mitchell. Può aver telefonato al vecchio pazzo.” - Sei passata da Charles? – chiese.

- No, sono venuta direttamente qui. Lo chiamerò domani. – Myrtle spense la sigaretta e si alzò dal divano. – Vado a dormire, sono stanca – disse. – Domani avrò un mucchio di cose da fare.

- Myrtle – la fermò Kenneth, quando gli passò vicino. – Sei ancora in collera con me? - Ma no, va tutto bene. Ho assorbito il colpo e sono molto serena. Un matrimonio sbagliato non è poi la fine del mondo. La vita continua, per fortuna.

- Un matrimonio sbagliato? Vuoi ancora chiedere il divorzio? Io ti amo da morire e...

- Basta, – lo interruppe lei, dolce ma decisa. – Non ho più voglia di discutere. Ci siamo detto tutto in proposito quella sera. Sì, voglio ancora chiedere il divorzio, voglio chiederlo più che mai adesso che ho conosciuto Greg. Buonanotte, Kenneth, ci vediamo domani.

Myrtle uscì rapida dalla stanza, lasciandolo in preda a una furia quasi isterica.

Cosa posso fare adesso?, pensò. Che cosa diavolo posso fare?

Prese una bottiglia di bourbon, poi la lasciò sul tavolo. Doveva essere lucido e sveglio per ragionare.

Sono il padrone della situazione, pensò. Ho in mano le fila di questa storia, dipende tutto da me. Ma doveva essere freddo e rapido nelle sue decisioni. Il giorno dopo Myrtle avrebbe parlato con Charles, o avrebbe visto Agnes, la cuoca, che arrivava ogni mattina alle dieci. La cameriera no, perché sarebbe stato il suo giorno di libertà.

Devo ucciderla questa notte, pensò. Sentiva una morsa fredda stringergli lo stomaco. Era madido di sudore per la tensione.

Devo ucciderla, si ripeté. Chiunque altro con un po’ di fegato al mio posto lo farebbe. Non posso perdere tutto, adesso che tutto è mio.

Doveva ammazzare una donna che legalmente era già morta, solo questo. Sarebbe stato un lavoro facile, pulito. Del veleno nel cibo, come nel più classico dei gialli, una rapida sepoltura da qualche parte, e tutto sarebbe continuato come prima. Col tempo avrebbe potuto pensare a quella notte e al ritorno di Myrtle come a un sogno.

Ma poi? Come avrebbe vissuto poi col terrore di aver lasciato anche una minima traccia che potesse ricondurre a lui? Myrtle aveva pur vissuto da qualche parte in quelle tre settimane, qualcuno che la conosceva poteva averla vista, lei stessa forse aveva detto cose che potevano far risalire a lui. Anche se era stata molto chiara in proposito.

Secondo quello che gli aveva raccontato, Myrtle aveva dato un nome falso, aveva detto di lavorare come impiegata, non aveva usato l’auto, aveva lasciato al bellimbusto solo il suo numero di cellulare, non aveva telefonato a Charles. Quella sera nessuno l’aveva vista perché nessuno, in una buia notte di pioggia, nota una donna in un taxi.

I pensieri di Kenneth si facevano via via più convulsi. Era in uno stato di eccitazione febbrile. Si sentiva allo stesso tempo spaventato e temerario. L’alta posta in gioco lo spingeva ad agire, ma allo stesso tempo l’idea di una situazione che non riusciva a controllare in tutte le sue sfaccettature finiva per bloccarlo.

Si accese l’ennesima sigaretta. Sentiva in sé il coraggio di uccidere, però voleva il più ampio margine possibile di sicurezza. Non si trattava di incapacità o di vigliaccheria, solo di prudenza.

Non la ucciderò subito, pensò e quasi si stupì per il cinismo di quell’idea improvvisa. Avrebbe fatto sparire Myrtle, esattamente come se fosse stata morta. L’avrebbe tenuta sequestrata un mese, anche un anno, e solo quando si fosse sentito sicuro, quando avrebbe avuto la certezza che lei non aveva davvero lasciato nessuna traccia, allora e solo allora avrebbe potuto compiere un delitto praticamente perfetto.

Quell’idea lo eccitò perché, forse, era la soluzione.

Ricordava un film inglese che aveva visto anni prima. C’era un giovane psicopatico che rinchiudeva nel sotterraneo della sua villa in campagna la ragazza che amava. Nel film il protagonista rischiava un paio di volte di essere scoperto, ma solo perché era innamorato della donna. Lui invece non avrebbe fatto errori perché non amava Myrtle e quindi non aveva nessuna fragilità psicologica nei suoi confronti. Dannazione, possibile che la soluzione fosse così pericolosamente semplice? Kenneth riteneva di non avere scrupoli ed era sempre stato molto attratto dal rischio. Se non voleva ritrovarsi senza un cent nel portafogli, doveva agire immediatamente.

Trascorse la notte insonne a studiare tutto nei minimi particolari. L’unico posto sicuro in cui chiudere Myrtle erano le cantine. Andò giù a esaminarlo. Quando la villa era stata ristrutturata, dall’ampio sotterraneo erano stati ricavati numerosi locali per la collezione di vini del padre di Myrtle. Alcuni però erano vuoti. Mura spesse e porte massicce, una volta il giardiniere era rimasto chiuso in una delle celle e nonostante avesse urlato a perdifiato, nessuno lo aveva sentito. Era stato ritrovato solo alcune ore dopo. Da quel momento le cantine erano state chiuse e Myrtle custodiva le chiavi.

Kenneth aprì diversi locali e poi ne scelse uno, in posizione centrale, senza finestre, una porta massiccia chiusa con un enorme catenaccio. Vi portò una vecchia branda, qualche coperta, una lampada a gas, poi cercò di immaginare se stesso che entrava nella stanza con un vassoio di cibo. Myrtle avrebbe potuto nascondersi dietro la porta e cercare di colpirlo con qualsiasi cosa, uno dei mattoni traballanti del pavimento, per esempio. Lui avrebbe avuto le mani occupate dal vassoio. E ancora avrebbe dovuto voltarle le spalle per uscire. Troppo pericoloso. Doveva cercare il modo di non correre rischi inutili. Era necessario che Myrtle non potesse avvicinarsi alla porta. Kenneth andò nelle vecchie stalle e trovò una catena la cui lunghezza poteva andare bene. Con due lucchetti avrebbe potuto assicurarla alla caviglia di Myrtle e a un anello di ferro che aveva visto infisso nella parete in fondo.

Preparò tutto con rapidità e pignoleria, controllò un paio di volte che non avesse dimenticato qualcosa, si ripeté la successione dei suoi prossimi movimenti come se fosse una lezioncina da imparare a memoria. O un copione, perché gli sembrava quasi di essere il protagonista di un film.

Alle sei era tutto pronto e c’erano ancora almeno quattro ore all’arrivo di Agnes. Allora andò in cucina e preparò il tè, alla vaniglia, il tipo preferito da Myrtle, che ne beveva sempre un po’ appena sveglia. Vi sciolse dentro una cartina di sonnifero, poi andò alla sua porta.

- Myrtle - chiamò entrando nella stanza. Lei si mosse appena nel letto, aprì gli occhi, poi li richiuse: - Che ore sono? - chiese piano.

- Myrtle, ho bisogno di parlare con te.

Lei si levò a sedere sul letto e lo guardò. Era bella con le guance arrossate dal sonno e gli occhi brillanti. La leggera camicia di seta con le bretelline sottili scopriva la pelle abbronzata. Quella donna era stata sua, pensò con una rabbia che lo stupì, e lui era stato così sciocco da perderla.

Ma forse non era ancora perduta.

- Myrtle – disse sedendosi accanto a lei. – Sono stato un pazzo a comportarmi come ho fatto. Perdonami. Ti amo e sono pronto a tutto, affinché tutto torni come prima.

Tutto. Auto, vestiti, denaro, viaggi, oggetti costosi. E anche Myrtle nel suo letto.

Lei dovette sentirlo sincero, perché gli strinse forte la mano. Ma intanto scuoteva la testa. - E’ troppo tardi, caro, è davvero troppo tardi. Mi dispiace. Ti ho amato molto, ma adesso voglio solo voltare pagina.

- E’ la tua ultima parola, Myrtle ? – La voce di Kenneth era rauca. – Vuoi davvero buttarmi fuori dalla tua vita?

- Ti prego, perché continuare a parlarne quando è davvero tutto finito?

- D’accordo. – Kenneth si alzò in piedi di scatto. Una rabbia sorda gli faceva pulsare forte il sangue nelle vene. – Ti ho preparato il tè. So che ti piace, la mattina.

- Lo hai preparato tu? – Myrtle prese la tazza, docile. Non ne aveva voglia, ma si sentiva così a disagio che lo bevve solo per essere gentile con lui. Il tè aveva un sapore strano, forse era il primo che Kenneth avesse preparato in tutta la sua vita, ma lei lo bevve lo stesso fino in fondo come se avesse avuto qualcosa da espiare.

Non appena fu uscito dalla stanza, Myrtle si infilò di nuovo sotto le lenzuola. Solo cinque minuti, pensò.

Ma cinque minuti più tardi era già scivolata in un sonno buio e pesante.

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