Torna indietro

L'ombra del passato

Isola di Pantelleria, giugno 1849

Il dottor Guido Saraceni salì sul biroccio e accese la lanterna perché era ormai buio. La vecchia baronessa si era assopita e la sua crisi respiratoria sembrava passata. L’uomo incitò il cavallo e imboccò il viale alberato che conduceva al cancello.

Vide solo all’ultimo momento qualcuno muoversi davanti a lui e tirò violentemente le redini per evitare di travolgerlo. - Che diavolo fate? - gridò, spaventato. Poi si accorse che si trattava di una ragazzina. - Cosa succede? - le chiese, abbassando il tono della voce.

- Ho bisogno del vostro aiuto, signore - disse Diletta, facendosi avanti. - E anche della vostra discrezione.

- Cosa? - L’uomo si sporse di lato, per sentire meglio. - La mia discrezione, hai detto?

- Sì. C’è un ragazzo che forse rischia di morire, ma nessuno deve saperlo. Non so cosa accadrebbe, se lo trovassero. Promettete di non dire nulla a nessuno?

L’uomo scese lentamente. Non poteva sapere se la ragazzina gli stesse dicendo la verità, ma sembrava spaventata. Decise di approfondire. - E dove sarebbe, questo ragazzo?

- E’ nascosto qui vicino.

- Chi è?

- Non lo so. Non l’avevo mai visto, prima.

- Portami da lui.

Diletta esitò, ma poi pensò che non aveva scelta, doveva fidarsi. - Conviene prendere la lanterna - disse, superando le due file di alberi e avvicinandosi ai cespugli di oleandri. - E' lì dentro.

Il dottore cercò di aguzzare la vista. - Lì dentro dove?

- Dietro i cespugli. Nella casa della bambole di Carlotta.

- Cosa...? - L’uomo scostò i rami degli oleandri e vide la bassa costruzione. - Non mi stai prendendo in giro? C’è davvero qualcuno, lì dentro?

Diletta annuì.

- Non so se riesco a entrarci - osservò il dottore, valutando l’ampiezza dell’apertura.

- Dovete dargli solo un’occhiata. Voglio essere sicura che sia in grado di tornare a casa con le sue gambe.

L’uomo si piegò e mise dentro prima la lanterna e poi la testa. - Perdio! - imprecò. - Chi diavolo lo ha ridotto così?

Diletta inghiottì. - E’ stato Fernando, il capo dei braccianti. E’ molto grave?

- Non posso dirlo, ma di sicuro non ha un bell’aspetto. Aiutami a tirarlo fuori, qui dentro è pieno di dannati insetti attirati dal sangue.

Diletta rabbrividì, ma si avvicinò subito. Insieme, tirandolo cautamente per i piedi, riuscirono a trascinarlo fuori. Il ragazzo sembrava svenuto, ma poi aprì lentamente un occhio. L'altro era livido e chiuso. - Siete tornata - farfugliò con voce bassissima.

- Reggi la lanterna! - Il dottore la porse a Diletta che si affrettò a ubbidire. Il viso dell’uomo era serio e concentrato, evidentemente le condizioni del ragazzo non gli piacevano. - Febbre alta, ecchimosi sull’occhio destro... - Cominciò a enumerare. - Un taglio sul labbro inferiore, abrasioni diffuse... - Prese a tastarlo, mentre la fronte diventava sempre più aggrottata e gli occhi più cupi. - Una costola rotta, dolore acuto al ventre... - Il sussulto era stato violento, quando lui vi aveva appoggiato le mani. - Anche il ginocchio sinistro non è a posto. Questo ragazzo non è in grado di andare da nessuna parte. Non con le sue gambe, almeno. - Si girò verso Diletta e vide che i suoi occhi si erano riempiti di lacrime. - Cosa diavolo ha fatto, per scatenare questa furia bestiale?

Lei scosse la testa. - Non so. A me hanno detto che ha cercato di rubare un cavallo. E’ stato anche frustato... - Adesso, Diletta singhiozzava. - Vedrete i segni sulla sua schiena.

Il dottore fece un profondo respiro, come se stesse decidendo in fretta cosa fare. - Adesso tu torna a casa, penserò io a portarlo dai suoi. E stai tranquilla, non ne farò parola con nessuno. Una denuncia contro quella bestia, porterebbe più danni che vantaggi a questo ragazzo. - Fece una pausa, poi le chiese: - Prima di andare, puoi aiutarmi a farlo salire sul biroccio? Molto piano e senza scosse.

Provarono insieme a sollevare il ragazzo, ma non fu difficile perché lui cercò con tutte le sue forze di aiutarli. Quando lo issarono sul veicolo, si lasciò andare di schianto all’indietro, poi sollevò la testa e cercò lo sguardo di Diletta con l'unico occhio aperto. - Prendete questo... - bisbigliò.

Lei si ritrovò qualcosa in mano e aprì lentamente le dita per vedere. Una strisciolina di cuoio e un piccolo spuntone bianco e acuminato.

- E’ il dente di uno squalo... - le spiegò il ragazzo, con voce soffocata. - Porta fortuna. - E poi si lasciò ricadere all’indietro, sul cuscino che il dottore gli aveva messo sotto la testa, togliendolo da cassetta.

Un breve incitamento, e il cavallo partì con un ritmico rumore di zoccoli. La lanterna oscillava, proiettando i suoi riflessi giallastri sul corpo abbandonato del ragazzo, che sussultava a ogni scossa del veicolo sul terreno disuguale. L’uomo aspettò di essere uscito dal grande cancello con lo stemma dei baroni Ayala, poi si girò verso di lui.

- Dove abiti? - gli chiese.

Il ferito si mosse leggermente. - A Pantelleria. Vicino al porto.

- Bene, ci saremo in un quarto d’ora. Ti medicherò e presto sarai di nuovo in piedi.

Il respiro del ragazzo era pesante, come se si fosse addormentato o fosse in preda a febbre molto alta. L’uomo si chinò su di lui, e vide che il suo occhio era aperto e vigile, luccicante di febbre. - C’è qualcuno, a casa, che possa occuparsi di te? - gli chiese, ritenendo che non sarebbe stato poi così semplice rimetterlo in piedi.

Lui girò la testa da un lato, per non incontrare il suo sguardo. - Non è un problema - borbottò.

- Cosa non è un problema? C’è qualcuno che può occuparsi di te o no? - insistette l'uomo, sospettoso.

- Sì.

- Chi? Tua madre?

Il ragazzo non rispose, girando ancora di più la testa contro il cuscino.

- Vuoi deciderti a parlare? Devo sapere con chi ti lascio.

Il braccio del ragazzo si spostò, nascondendogli il viso. - Vivo solo ma non preoccupatevi, so come cavarmela. L’ho sempre fatto.

- Cosa significa che vivi solo? Quanti anni hai?

- Non lo so.

- Cosa?

- Non lo so. La vecchia Amalia, che mi ha visto nascere, dice che ne ho diciassette. Suo marito invece assicura che sono nato nell’anno dell’eruzione e quindi dovrei averne diciotto.

Il dottore corrugò la fronte. - La tua nascita deve essere stata registrata. Basta poco per sapere quanti anni hai.

- Forse, ma cosa cambia se lo so? Divento meno povero? O meno solo?

Ci fu un lungo silenzio. Il ragazzo lasciò scivolare il braccio lungo il fianco. Aveva il capo reclinato all’indietro, e sembrava esausto.

- E fratelli? Hai un fratello o un parente?

I lineamenti del ferito, evidenziati dal chiaroscuro della lanterna, apparivano rigidi e contratti. - Se anche li ho, nessuno me li ha fatti conoscere.

- Cosa è accaduto ai tuoi genitori?

- Mia madre è morta quando sono nato. Mio padre è rimasto vivo abbastanza per rendere la mia vita un inferno, poi è morto anche lui.

Il dottore rabbrividì. Intuiva un mondo buio e doloroso dietro la maschera impenetrabile di quel viso adolescente.

- Perché tanta furia contro di te? - volle sapere. - Perché ti hanno picchiato così selvaggiamente?

- Perché sono stato io a cominciare.

L'uomo spalancò gli occhi. - Tu?

- E’ così. Ho dato un pugno a quel bestione con tutta la forza che avevo.

- Perché ti aveva sorpreso a rubare?

- Non precisamente. Perché non ho gradito quello che aveva detto di mia madre.

Ci fu ancora una lunga pausa. Il dottore stava pensando in fretta perché a pochi metri c’era il bivio e avrebbe dovuto imboccare la strada a destra che conduceva al porto. Ma all'ultimo momento tirò bruscamente le redini prendendo la stradina a sinistra. - Ho capito, ti porto a casa mia.

Il ragazzo si agitò. - Non voglio. Me la sono sempre cavata da solo. Curatemi le ferite e lasciatemi in pace.

- No. Starai da me finché non passerà la febbre. Poi potrai andartene.

La risata del ragazzo suonò stridula e improvvisa. - Non è una buona idea. Macchierò di sangue i vostri tappeti e vostra moglie, quando mi vedrà, arriccerà il naso.

- Non ho moglie. E neppure tappeti - disse l’uomo, con voce pacata. - Adesso mettiti tranquillo e cerca di dormire. Ti sveglierò quando saremo arrivati.

Brano scelto e adattato dall'autrice
Torna su


Cookie policy