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L'alba di un nuovo giorno

Tenuta dei conti Scardia, maggio 1832

L’alba è l’ora più carica di suggestioni, rifletté il duca Augusto Artieri fermando il suo cavallo su una leggera altura e facendo scorrere lo sguardo per la campagna intrisa di rugiada. Peccato che la maggior parte dei nobili suoi pari si trovasse nella spiacevole condizione di non averne mai contemplata una.

Svegliarsi tardi al mattino era un’abitudine assai diffusa tra gli aristocratici e il suo amico Aleardo Scardia non faceva eccezione. Lui affermava che la notte è anch’essa talmente carica di suggestioni da non vedere la necessità di alzarsi presto per ammirare un’alba di cui, in realtà, non gli importava un accidente.

Con un leggero colpo di talloni il duca indusse il suo cavallo ad avanzare di qualche passo, poi lo spronò in direzione della folto bosco sulla destra. Ricordava che oltre quegli alberi ci fosse un torrente piuttosto impetuoso e così profondo, a tratti, da non lasciar scorgere in trasparenza i grossi ciottoli del fondo.

Si erano fermati lì qualche giorno prima, per una breve sosta durante una battuta di caccia al cinghiale. Mentre facevano abbeverare i cavalli, il suo amico Aleardo gli aveva raccontato la leggenda di una ninfa che sembrava vivesse, fin dall’alba del mondo, sul fondo di quel corso d’acqua. Una ninfa bellissima che emergeva per lasciarsi ammirare dai mortali solo nel preciso attimo in cui il buio della notte si arrendeva al giorno, mai prima e mai neppure dopo. Un solo istante fuggevole, una scheggia di tempo difficilissima da afferrare.

- Quindi tu non l’hai ancora vista? – aveva scherzato Augusto.

- Certo che no. E vuoi sapere cosa penso? Che una ninfa così capricciosa meriti di essere contaminata solo dagli sguardi di contadini e pastori.

Aleardo era aristocratico fin nel midollo. E il suo senso di assoluta superiorità lo induceva persino a voler punire una figlia di Zeus, colpevole solo di essere troppo mattiniera.

Augusto si immerse nella verde penombra del bosco, divertito dalle sue stesse divagazioni. Era decisamente di buon umore: il suo soggiorno in Sicilia, nella tenuta del conte Aleardo Scardia, era stato più piacevole del previsto e lui già rimpiangeva che stesse ormai volgendo al termine. Le nobili dame dai capelli scuri e dagli occhi di velluto lo avevano reclamato nei propri salotti, corteggiandolo e lusingando la sua vanità; i gentiluomini avevano sollecitato la sua conversazione, curiosi di quanto accadeva sul continente e sinceramente interessati alle sue opinioni sui più diversi argomenti. E poi la terra siciliana era calda e passionale, pregna di umori, non ancora inaridita dalla siccità estiva, ed era un vero piacere per lui esplorarla alle prime luci del mattino, spingendosi oltre i confini della tenuta dei conti Scardia.

Augusto aveva subito amato quella terra in continua lotta con la natura, l’azzurro intenso del cielo, il blu cobalto del mare odoroso di salsedine, il velluto dei pini d’Aleppo che si spingevano fino a riva, con i tronchi spesso piegati dal vento. Ma la cosa che lo aveva colpito di più era stato il grigio della lava, impietrita in lunghe onde nel suo fluire. Un grigio intenso, punteggiato da ciuffi gialli di ginestre fiorite sulla pietra, il prodigio della vita che nasce dalla morte.

Augusto attraversò il bosco nella luminescenza dorata del sole che trapelava tra le foglie, poi uscì all’aperto e di scatto bloccò il suo cavallo.

- Che mi prenda un colpo!

Il torrente era davanti a lui, forse a venti metri di distanza, e la fanciulla in piedi sulla riva non poteva che essere la ninfa della leggenda.

Sicuro come l’inferno, pensò. Una simile meraviglia non poteva in alcun modo essere nata da umani.

Immobile sul suo cavallo, la contemplò incredulo.

Innanzitutto aveva lunghi capelli biondi come l’oro, in una terra di donne brune. Lievi riccioli inanellati formavano una cascata preziosa che le arrivava ai fianchi e che scintillava nel pulviscolo dorato dell’alba. Aveva braccia dalla pelle luminosa e caviglie slanciate, e sottili piedi nudi. Il profilo dalle linee pure emergeva incantevole dal groviglio di soffici ricci.

Indossava un leggero abito bianco che si drappeggiò mollemente intorno alla sua figura quando lei sollevò un po’ la gonna per poter entrare in acqua. O forse si trattava di un sottabito? Era così leggero che anche a quella distanza lui riusciva a scorgere il rosato della pelle in trasparenza.

Inghiottì piano, incapace di muoversi e di formulare pensieri che avessero un senso. Nessuna donna, prima di quel momento gli aveva procurato un’emozione talmente intensa. Se era possibile che un uomo tramortisse di passione al primo sguardo, bene, quell’uomo era lui.

Lentamente cambiò posizione sulla sella. La fanciulla era entrata in acqua movendosi sicura, come se avesse dimestichezza con i ciottoli del torrente e fosse abituata a camminare a piedi nudi. Una contadina di certo, o la figlia di un pastore. Bella come una ninfa e inconsapevole di esserlo. Forse persino vergine.

Col cuore che gli martellava lento nel petto, Augusto scese da cavallo. Avvertiva un’esaltazione strana, e non riusciva a pensare a nulla che non fosse il desiderio di lei.


La vastissima sala da pranzo aveva un camino enorme, pareti con fregi argentei e pavimento di marmo grigio. Le pesanti tende di broccato, alle finestre, lasciavano filtrare il sole con molta discrezione.

Augusto trovò l’amico seduto al lungo tavolo di quercia davanti a bricchi fumanti e vassoi di piccole ciambelle. Scostò la sedia più vicina e sedette.

– Ho visto la tua ninfa – esordì, allungando la mano verso una focaccina calda.

- In sogno, intendi? – si informò l’altro, guardandolo con evidente curiosità.

- Niente affatto, amico. Ero ben sveglio.

- Allora avrai avuto una visione. – Aleardo liquidò l’argomento in tono sbrigativo.

- Una ragazza a piedi nudi nel torrente. Bella da togliere il fiato. Peccato però che quando stavo per avvicinarmi sia stata raggiunta da una specie di orrido ciclope.

Aleardo scosse la testa. – Sei sicuro di non esserti addormentato sotto un albero? Credimi, Augusto, alzarsi presto come fai tu è contro natura. Se Dio avesse voluto che anche i nobili si svegliassero alle prime luci dell’alba, non avrebbe permesso l’invenzione delle tende e degli scuri.

Il suo ragionamento non faceva una grinza. Augusto sorrise e si rilassò contro lo schienale della seggiola.

– Insomma, ho visto due contadini sul greto del torrente. Lei bella come il sole, lui grande e grosso, un vero orco. Sai dirmi chi sono? Una coppia così particolare non può passare inosservata.

Aleardo alzò le spalle. – Di contadine belle qui intorno ce ne sono parecchie. Io stesso mi sono tolto a volte qualche capriccio. Ma nessuna che somigli a una ninfa o che mozzi il respiro. Sono ragazzotte floride e di mente semplice, buone per una rotolata sull’erba senza problemi.

- Quella che ho visto io non è così. Te lo giuro, mi ha colpito al cuore.

- Davvero? E allora cerca di rinsavire in fretta, se non vuoi che il suo amico orco ti colpisca duro da qualche altra parte

Augusto non rispose. Mangiucchiò lentamente un po’ della sua focaccina, ammettendo dentro di sé che l’amico aveva ragione. Quel tipo era sufficientemente brutale e primitivo da esser pronto a difendere la fanciulla a randellate. Ma anche a mani nude avrebbe fatto notevoli danni.

- E’ ora di andare. – Aleardo si alzò interrompendo le sue riflessioni. – Ti ricordi che siamo attesi dalla Marchesa di Poggiombroso? Sua figlia Anna è bella e seducente, ti farà dimenticare in un attimo tutta questa ridicola storia di ninfe e di ciclopi.

Bella e seducente erano due aggettivi che ben si adattavano alla marchesina Anna. Augusto si alzò di buon grado, ripetendosi la frase preferita di suo zio Adalberto: - Solo una donna può far dimenticare un’altra donna.

Ma, se doveva proprio essere sincero con se stesso, lui non era affatto sicuro di voler dimenticare la sua ninfa.

Brano scelto e adattato dall'autrice
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