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Il volo del falco

Castello di Sassovivo, 1245

Beatrice aspettò che lo stalliere preparasse Pegasus con la sella da uomo, poi montò in groppa e spronò leggermente in direzione del grande portale.

Un colpo di talloni più deciso e il cavallo partì al galoppo, assaporando anche lui l’ebbrezza della libertà. Il vento che gli scompigliava la criniera e le redini lente sul collo, l’animale ubbidì al comando e galoppò a tutta velocità, facendo rimbombare sotto gli zoccoli il legno del ponte levatoio. Poi proseguì giù per il faggeto, prendendo istintivamente il sentiero che ormai conosceva bene.

Non ci volle molto tempo. Un’ampia vallata e poi di nuovo una leggera salita e un bosco di querce. Quando gli alberi cominciarono a diradarsi, Beatrice tirò le redini e costrinse il cavallo al passo. Poi, uscita dal bosco, sollevò lentamente la testa e guardò in alto, verso la sommità della collina.

Ecco di nuovo la stessa emozione, lo stesso stupore. Come se lo vedesse per la prima volta. Era il maniero più suggestivo, più possente e inquietante in cui si fosse mai imbattuta.

Lentamente smontò e rimase immobile a osservarlo con attenzione.

Ricordava benissimo quando avevano cominciato a costruirlo, anche se erano passati diversi anni. Ricordava il brulichio di uomini che piantavano picchetti per delimitarne il perimetro. E poi il lavorio frenetico delle maestranze e l'arrivo continuo dei materiali. Lei era incantata. Ogni volta che poteva, prendeva il suo cavallo e andava a spiare il procedere dei lavori. Era come se uno strano sortilegio l’attirasse irresistibilmente ai piedi di quella collina. E giorno dopo giorno, anno dopo anno, il castello era stato innalzato sotto il suo sguardo attento e curioso.

Adesso era lì, potente e temibile, ormai quasi finito. Le alte mura tracciavano il perimetro di un ottagono e otto solide torri, anch’esse ottagonali, si levavano a ognuno degli angoli. Le finestre erano eleganti bifore con colonnine di marmo e sulle pareti delle torri si aprivano le feritoie più strette che lei avesse mai visto, come se un enorme pugnale avesse inciso la pietra. Artisti germanici e saraceni avevano lavorato a lungo di scalpello. Enormi quantità di marmi pregiati, di pietra calcarea e di breccia corallina erano state portate per i rivestimenti. Beatrice moriva dalla voglia di varcarne la soglia, e non era escluso che l’avrebbe fatto, un giorno o l’altro.

Ma una sensazione indefinibile la tratteneva, una specie di timore per qualcosa che non riusciva a comprendere fino in fondo.

Perché quello era uno strano castello, indecifrabile e misterioso. Alcuni affermavano che l’imperatore avesse voluto costruire una fortezza, ma si trattava di una fortezza insolita, priva com’era di fossato e di ponte levatoio. Altri dicevano che sarebbe stata la residenza di caccia di Federico, ma anche questo era strano, dal momento che non c’erano cucine e magazzini sufficientemente grandi per le necessità di un sovrano e della sua corte.

Basilius aveva idee suggestive in proposito. Lui affermava che quel castello era stato progettato da un appassionato di arti magiche, e che rispondeva ad astruse leggi matematiche in cui il numero otto aveva un ruolo determinante.

- E poi gioca con il cielo.

- Cosa volete dire Basilius? Cosa significa che gioca con il cielo?

- La sua disposizione... quelle feritoie che catturano i raggi più obliqui del sole... Ci sono oscure corrispondenze tra il cielo e questo castello... io riesco a sentirle. Non capite, Beatrice, che è il disegno di un uomo che guarda lontano? Più lontano di quanto non riesca a spingersi il nostro sguardo?

La ragazza smontò da cavallo e si fece schermo con la mano per ripararsi dal sole. E fu così che vide lo stendardo.

Su una delle torri sventolava uno stendardo con lo stemma della stirpe sveva.

Beatrice si irrigidì. L’imperatore era arrivato? Aveva preso possesso del suo castello? Possibile che la notizia non fosse in alcun modo trapelata?

Poi si chiese cosa potesse significare il suo arrivo. Aveva intenzione di assoggettare i feudatari della regione oppure desiderava soltanto intraprendere una battuta di caccia col falcone, di cui si raccontava fosse appassionato?

Era così immersa nei propri pensieri, che solo per caso si accorse dell’uomo a cavallo, fermo a pochi metri da lei, sulla sinistra.

Impietrita, la fanciulla lo osservò evitando persino di respirare per non attirare su di sé la sua attenzione. Dopotutto era allo scoperto, e a quel cavaliere sarebbe bastato girare la testa dalla sua parte per notarla. Invece, ritto sulla sella in atteggiamento fiero, sembrava assorto nella contemplazione del castello, esattamente come lo era stata lei fino a pochi secondi prima.

Lentamente, senza fare il minimo rumore, Beatrice allungò una mano verso le redini di Pegasus cominciando ad arretrare verso i primi alberi del bosco.

Ormai non aveva alcun dubbio. La prima cosa da fare, era quella di sparire alla svelta.


Angus di Yeslick coprì al piccolo trotto la breve distanza che lo separava dal limitare del querceto. Le folte chiome degli alberi gli impedivano di scorgere il cielo, ma una volta fuori la forte luminosità lo colpì facendogli socchiudere gli occhi.

Lui amava i colori intensi e i profumi decisi di quella terra. La sua patria era grigia e brumosa e plasmava uomini freddi e privi di emozioni. Lì, invece, nelle vene di uomini e donne sembrava scorrere tumultuoso quel mare forte e selvaggio che lambiva le loro coste. Avevano occhi di sole e capelli odorosi di messi, Angus all’inizio era stato quasi stordito da quei raggi accecanti e da quei profumi. Poi li aveva amati.

Negli ultimi tempi, però, aveva cominciato ad avvertire un'acuta nostalgia della sua terra. Lì vivevano i suoi fratelli e aveva vasti possedimenti che reclamavano la mano del padrone. Ne era lontano da quasi dieci anni, ma presto vi avrebbe fatto ritorno, dopo aver scortato l'imperatore che si dirigeva a nord. Prima, però, Federico aveva voluto fermarsi nella terra Apula, per vedere quel castello ormai quasi completato a cui aveva dedicato tanti studi e tanti progetti.

Una costruzione magnifica. Che lasciava senza fiato. Che sembrava emanare lo stesso carisma dell’uomo che lo aveva voluto.

Erano arrivati quella notte e, usciti dal bosco, il maniero era apparso davanti ai loro occhi illuminato dal plenilunio. Un’emozione indimenticabile.

L’imperatore aveva fermato il suo cavallo e si era girato verso di lui.

- Guardate il mio castello, Angus - aveva detto con la sua voce bassa e profonda. - E’ un libro di pietra in cui ho racchiuso tutto ciò che credo di aver capito della vita. Visioni cosmiche, leggi matematiche, pratiche magiche... Un lettore attento saprà coglierle.

Non si sarebbero trattenuti molto. Papa Innocenzo IV, nominato da poco, stava già cercando appoggi contro l’imperatore presso il Re di Francia, e Federico doveva tenersi pronto per qualsiasi evenienza.

Angus si raddrizzò sulla sella, stanco della lunga cavalcata. Erano arrivati a notte fonda, ma subito dopo l’alba lui era di nuovo saltato a cavallo, deciso a dare un’occhiata a quelle nuove terre. Lo faceva sempre, quando giungeva in un posto che non conosceva. Gli piaceva immergersi da solo nell’atmosfera del luogo, per scoprirne l’anima.

Così quella mattina aveva esplorato una vasta zona, guardandosi intorno con interesse nei campi coltivati e nei folti uliveti. Aveva osservato incuriosito le strane casupole disseminate nella campagna, completamente costruite con pietre grigie incastrate l’una accanto all’altra senza l’aiuto della malta, e poi aveva indugiato a lungo davanti a una severa cattedrale, tutta bianca contro lo sfondo luccicante del cielo blu. Non era arrivato sino al mare, ma era riuscito ad avvertirne il penetrante profumo di salsedine.

Poi aveva ripercorso la strada in senso inverso, ma, appena fuori dal bosco di querce, aveva fermato il cavallo per osservare di nuovo il castello, questa volta inondato dalla luce del sole ormai alto.

La pietra calcarea di cui era costruito scintillava nella forte luminosità, i vetri colorati delle finestre avevano la trasparenza delle pietre preziose, il vessillo degli Svevi sventolava fiero su una delle torri. Di giorno, la costruzione non era più tetra come gli era apparsa quella notte, ma ugualmente misteriosa.

A un tratto, Angus trasalì.

Non era stato un rumore, ma piuttosto una sensazione. La sensazione di essere osservato.

Di scatto si girò verso destra e subito lo vide. Un ragazzo a una cinquantina di metri da lui. Con le redini di un cavallo in mano, stava arretrando lentamente verso il bosco. I loro sguardi si incrociarono per una frazione di secondo poi, con la velocità del fulmine, il ragazzo balzò in sella e spronò violentemente partendo al galoppo.

Angus sapeva per esperienza che se un uomo fuggiva, la prima cosa da fare era inseguirlo. Quasi sempre aveva qualcosa da nascondere.

Così, senza pensarci un secondo, girò bruscamente il cavallo. Poi conficcò gli speroni nel suo ventre e si lanciò all’inseguimento.

Brano scelto e adattato dall'autrice
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