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Presepe

Notte a Bethlehm

di Ornella Albanese

C'era qualcosa in quel tramonto color ocra. Una sensazione strana, come di attesa.

Attesa della festa, certo. Le lucerne erano pronte su ogni finestrina per essere accese all'imbrunire. E le vie erano piene di gente. Molti erano venuti per il censimento e avevano trovato Bethlehm in festa. Le locande erano piene e anche molte case ospitavano i pellegrini. Persino sui tetti piatti, in giacigli di fortuna.

Erano tutti felici tranne lei, chiusa nella sua stanza. Chiusa con il paletto da sua madre.

- Come un anello d'oro al naso di un maiale, - le aveva detto sua madre, che usava le massime del sacro libro quando voleva imporre la sua autorità. - Così è una fanciulla bella, ma priva di senno.

Rivka si avvicinò alla finestrina e guardò di nuovo fuori quella festa che le era negata. Priva di senno solo perché si era innamorata dell'uomo sbagliato? Era promessa a Cefas, il vasaio, che nelle mani aveva sempre residui di creta. Che era tarchiato, con pochi capelli e molti anni. Invece amava Yacoov, il mercante di profumi. Lui era venuto a Bethlehm per la festa e sarebbe tornato presto a Gerico, dove aveva una casa ricca. Si erano visti due volte alla fonte. Era bello, con occhi ardenti, giovane e indomito. Lo avrebbe seguito dappertutto.

Sua madre invece l'aveva chiusa in casa, atterrita. - Vuoi essere lapidata? Eppure lo sai cosa succede a chi giace con un uomo diverso dal suo promesso.

Certo che Rivka lo sapeva. Era bambina quando lei l'aveva trascinata a vedere una lapidazione affinché traesse le sue conclusioni e si comportasse come doveva.

- Io amo Yacoov! - aveva protestato. - E lui ama me.

- Non puoi amare chi non conosci.

- Come l'acqua riflette il volto, così il cuore di un uomo riflette l'uomo - aveva risposto lei, combattendola con le stesse armi, le massime del libro sacro.

- Non puoi conoscere il cuore di un uomo che non conosci. – La voce di sua madre era inflessibile. - Nel suo viso vedi solo quello che lui vuole mostrarti.

Adesso Rivka pensava agli occhi di Yacoov, trasparenti e pieni d'amore. Nessuno l'avrebbe indotta a credere che celassero un inganno.

E poi eccoli, quegli occhi, a un palmo dalla finestrina.

- Esci, Rivka, c'è la festa.

- Non posso, mia madre mi ha chiusa dentro perché non vuole che ti veda.

Lui corrugò la fronte e la sua espressione si fece intensa. - Fuggi con me, Rivka bella come il sole.

Lei trattenne il respiro, guardandosi intorno. Aspirò il profumo del grano abbrustolito che sua madre stava preparando per cena. Pensò alle mani sporche di creta di Cefas. Diede un rapido sguardo al vestito azzurro che indossava. Poi salì su una seggiola e uscì dalla finestra, lasciandosi scivolare nei bagliori ocra di quel tramonto.

- Che strana luce ha il cielo – disse Yacoov, mentre l'accoglieva contro di sé, stringendola in un abbraccio. Si tolse la kefiyah e le sorrise. - Mettila tu, non devono riconoscerti.

Rivka indossò il copricapo scuro facendo in modo che il viso rimanesse nascosto, poi si avviarono insieme verso la stradina che conduceva fuori Bethlehm.


- Aspettami qui, sotto questo sicomoro – le aveva detto Yacoov. - Non muoverti, tornerò presto, devo prendere il cavallo e la mia roba, poi andremo a Gerico.

Ma il buio era calato all'improvviso, spesso e denso come una colata di inchiostro. Un buio che faceva paura.

Il respiro di Rivka si affannò. Ricordò tutte le frasi di sua madre e le massime del libro sacro che mettevano sull'avviso le ragazze sventate come lei. Non riusciva a stare ferma in quel buio. E se Yacoov non fosse tornato? Dopotutto, cosa sapeva di lui? Solo quello che gli era piaciuto raccontarle.

Vide un piccolo lume più avanti. Lasciò il sicomoro e lo raggiunse, seguendo una scia odorosa di frittura. Era il panchetto di un venditore di frittelle, un ragazzo giovane dalla faccia allegra. Rivka aveva fame ma non portava monete con sé. L'odore del frumento abbrustolito di sua madre diventò nostalgia. Superò il panchetto perché vide un'altra luce più avanti. Debole e vacillante, si riverberava fioca su un gregge di capre. Ma doveva percorrere un tratto buio per raggiungerla.

Non sapeva cosa fare, l'unica cosa sicura era che non poteva rimanersene lì ferma con il rischio di attirare l'attenzione. Percepì la presenza di altra gente, ma erano tutti in piccoli gruppi diretti alla festa. Lei era l'unica sola e andava nella direzione opposta.

Mosse qualche passo e fu in quel momento che una luce abbagliante esplose nel cielo d'inchiostro, accecandola.

Rivka sussultò e poi si impietrì.


Con un salto improvviso Yoel afferrò una ghirlanda di frittelle gocciolanti di miele e subito scappò nel buio.

- Ladro di strada! – strillò l'uomo robusto, al di là del panchetto. E si lanciò all'inseguimento urlando al ragazzo che lo aiutava: - Bada tu alle frittelle!

Il bambino correva nella notte, con il cuore che picchiava come un tamburo. Non si aspettava che quel grassone lo inseguisse e non si aspettava neppure che fosse così veloce. Corse sperando di non cadere, stringendo in mano le frittelle appiccicose e perdendone qualcuna nella concitazione della fuga. Vedeva in fondo una luce fioca e correva a perdifiato in quella direzione. Era una lucina oscillante appesa al bastone di un pastore.

- Sterco del demonio! – urlava l'uomo dietro di lui. - Riuscirò ad acciuffarti!

Il ladruncolo correva ancora più forte.

Ecco, adesso era a un passo dal gregge.

- Nasconditi tra le capre – disse il pastore, senza girarsi.

Yoel non se lo fece ripetere. Si tuffò letteralmente tra i manti lanosi, molto confortevoli visto che la sua tunica era leggera per quella notte fredda.

Anche l'uomo arrivò, ansando e sbuffando. - Hai visto un miserabile ladruncolo con le mie frittelle? – chiese, il respiro quasi un sibilo tra i denti.

- Appena un minuto fa – rispose il pastore. - Correva come una lince del deserto!

L'uomo si asciugò il sudore con la manica della tunica. - Allora io mi fermo qui. Me l'ha fatta, miserabile ladro di strada! – Era stanco e senza fiato, e poi non poteva lasciare troppo a lungo il suo panchetto a quell'incapace del suo aiutante. Girò le grandi spalle e tornò indietro.

La testa arruffata di Yoel spuntò tra i dorsi delle capre, un sorriso pieno di denti sul visetto magro.

- Vuoi una frittella, pastore? – strillò, agitandole in alto come un trofeo.

E poi strinse gli occhi, accecato da una luce chiarissima e abbacinante che aveva riempito il cielo.


Sotto il sicomoro non c'era.

Yacoov scese da cavallo, incredulo e anche un po' spaventato. Cosa poteva essere accaduto? Eppure glielo aveva detto, di non muoversi di là, le strade sono pericolose per una fanciulla sola di notte. Strinse i denti, furioso. Aveva sbagliato a lasciarla sola, ma tornare a Bethlehm con lei poteva essere ancora più pericoloso. Adesso aveva il cavallo, la sua roba e potevano andare a Gerico, dove l'avrebbe sposata. Sorrise, nonostante la furia. Non gli era mai capitata una simile stranezza, con una donna. Da quando l'aveva vista alla fonte, l'aveva pensata in ogni minuto delle sue giornate e l'aveva sognata in ogni attimo delle sue notti.

Ma adesso non c'era.

Si avviò per la stradina sterrata in direzione di un panchetto di frittelle. Si rivolse all'uomo grasso e sudato che stava prendendo posto accanto a un ragazzo dal sorriso vacuo.

- Hai visto una giovane donna sola? – gli chiese. - Con un vestito azzurro e una kefiyah nera.

- Pensi che abbia il tempo di guardare le ragazze? – rispose l'uomo sgarbatamente. - Già devo badare ai ladri di strada!

Yacoov proseguì cercando di aguzzare la vista nell'oscurità. Il panico si stava impadronendo di lui. Dove poteva essere andata? Ricostruì con la memoria il paesaggio che lo circondava e gli apparve immenso, distese pietrose, monti impervi, piste che si addentravano in mondi sconosciuti. Era possibile che l'avesse perduta per sempre.

E poi stava accadendo un'altra cosa bizzarra. Gruppetti di gente e di pastori camminavano accanto a lui, nella sua stessa direzione, volgendo le spalle a Bethlehm e alla festa. Si fermò, disorientato. Cosa stava accadendo?

E poi il panico gli dilagò nelle vene, impietrendolo. Una luce accecante che aveva l'intensità di mille lampi sembrò riempire in un istante la terra e il cielo.


Si erano dimenticati di lui.

Il capretto arrancò lungo la stradina pietrosa, vacillando sulla zampetta ferita.

Seguiva l'odore. Odore di morbido e di latte. Sua madre era avanti, nel gregge spinto dalla verga crudele del pastore, e lui arrancava penosamente, non sarebbe mai riuscito a raggiungerli.

Belò, disperato.

Avvertì sua madre belare, da qualche parte nella notte, troppo lontana, irraggiungibile.

Anche l'odore si era fatto lieve.

Superò la luce profumata di frittelle e si immerse di nuovo nel buio.

Con la sua zampa rotta non sarebbe andato lontano.

Si fermò.

Poi decise di non arrendersi.

Un passo traballante dopo l'altro e l'odore di madre sempre più leggero, sempre più lontano. Sembrava disperdersi nel buio.

Poi una luce sfolgorante esplose intorno a lui e il suo piccolo cuore sembrò fermarsi.


- Bella bellissima la stella cometa! – strillò Luli quando suo fratello l'accese, illuminando di luce sfolgorante tutto il presepe. Poi allungò le dita grassocce verso il capretto. - Si è rotto – strillò ancora, guardando la zampina più corta.

Matteo strinse le labbra, perché sperava non se ne accorgesse. Gli era caduto e la zampa si era spezzata, non era poi la fine del mondo. Pazienza se era il capretto preferito di Luli. - E' tardi, fila a dormire – le disse brusco e se ne uscì dalla stanza.

Luli invece rimase ferma a contemplare il presepe. Suo fratello aveva fatto un bellissimo lavoro.

Con dita lievi poggiò il capretto più avanti, vicino al gregge. Da solo, con quella zampetta zoppa, non lo avrebbe mai raggiunto.

Era tardi, ma Luli voleva guardare tutto per bene. Accarezzò con lo sguardo le montagne pietrose della Giudea, i piccoli uadi umidi d'acqua, i bivacchi, le minuscole case dai tetti piatti di Bethlehm, quell'albero dal nome difficile, socomoro o sicomoro, non si ricordava più. E quegli altri dal nome che sembrava una musichetta: terebinti. Ammirò la grotta su cui si era posata la cometa splendente e poi indugiò a osservare le statuine. Quelle piccoline della nascita, e poi il grasso venditore di frittelle, dall'espressione arcigna, i gruppetti di pastori, il bambino che la faceva ridere sporgendo la testa tra le capre. Guardò i re Magi, così lontani eppure nitidi contro il cielo notturno.

Stava per andarsene quando notò la statuina della ragazza col vestito azzurro e il copricapo nero. Era l'unica sola, in tutto il presepe. Anzi no, più dietro c'era un giovane uomo che tirava un cavallo per le briglie.

Luli corrugò la fronte.

Poi con le sue dita paffute mise la ragazza vestita d'azzurro vicino al giovane uomo con il cavallo e fece una bella risata di felicità.

In quella notte speciale nessuno doveva stare da solo.

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