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Il giorno del matrimonio

di Ornella Albanese

Mi accendo una sigaretta e allungo le gambe, rilassandomi. E’ l’una di notte e domani mia figlia si sposa. A diciotto anni e con un bambino come lei, solo di pochi mesi più grande. Ci amiamo follemente, dicono, e adesso o fra cinque anni che importanza ha?

Non credevo che facessero sul serio. Alla loro età ci sono i viaggi studio all’estero e i coni alla fragola con i libri a tracolla, ci sono altri amori e altri entusiasmi. Perché sposarsi così presto senza assaporare la gioia di essere liberi e allegri e disponibili alla vita?

Spengo la sigaretta con un senso di fastidio. Verso di me che sono diventata vecchia dentro. Una volta non ero così. Amavo il rischio e l’avventura, sarei andata in capo al mondo per seguire un’illusione. Vado a dormire, decido, ma poi un telegramma sul tavolo cattura il mio sguardo. E’ lontano dal mucchio degli altri e lo leggo macchinalmente: “Arriverò domani, gli auguri più belli, papà.”

Il cuore si ferma. Lui arriverà domani. Chiara lo ha invitato senza dirmi niente, io credevo non si sentissero da anni. Li odio, hanno fatto tutto alle mie spalle, come cospiratori. Mi sento furiosa e tradita, ma questo non cambia il fatto che lui domani sarà qui.


Questa mattina in casa c’era una baraonda di gente venuta ad aiutare. Io ho dato uno sguardo al tailleur rigoroso e non ho sopportato l’idea che lui mi vedesse così, spenta e senza allegria come sono stata in questi anni. - Esco -, ho detto, chiudendo la porta d’ingresso sul milione di cose da fare. Esco a fare shopping.

E adesso mia figlia è pronta, capelli sciolti e abito di pizzo. Il suo profilo è nitido e lieve, è proprio ancora una bambina. Incredibile che in un momento così riesca ad avere uno sguardo anche per me. - Sei bella, mamma, davvero, sembri diversa.


Sono le cinque e io so che lui ormai non verrà. Quanti appuntamenti mancati e quante promesse dimenticate durante la nostra vita insieme. Così esaltato nei suoi entusiasmi, mi ubriacava d’amore e poi spariva senza una parola. Seguiva il richiamo della sua musica, e una moglie e una figlia erano catene.

La chiesa è un’abbazia in mezzo alla campagna, colonne sottili e merletti di pietra. Chiara è dritta davanti all’altare e accanto a lei c’è il bambino che sta sposando.

Non doveva. Non doveva fare questo a sua figlia. E proprio il giorno del suo matrimonio. Lo odio per tutte le promesse mancate e le storie inventate e le allegre bugie.

Sottile e purissimo, il suono di un violino si alza fremente e subito si allarga a riempire la navata. E’ l’Ave Maria di Schubert, piena d’anima e di un'intensità che chiude la gola.

Come solo lui sapeva suonarla.


Ed eccolo qui, seduto al mio tavolo, l’uomo che è stato il mio amatissimo, odiatissimo marito. Gli occhi che correvano lontano, sembrano più fermi adesso, più attenti alla realtà. E cercano i miei con insistenza.

- Sei un'altra - mi dice.

- Il tempo passa.

- Il tempo non c'entra. Sei più bella di prima, ma i tuoi occhi sono lame e la tua bocca non sa più sorridere.

La sua risata invece è la stessa e io, a un tratto, smetto di pensare a tutto ciò che di lui mi ha ferito. Non me ne importa più niente. Penso solo ai nostri momenti allegri e imprevedibili, sempre con la sua musica come sottofondo.

Allora osservo mia figlia e inaspettatamente la scopro donna. Nei gesti, nello sguardo. Non può essere cambiata, quindi sono io che la vedo con occhi diversi. Chi sa, forse il ragazzo che ha scelto è davvero l’uomo giusto per lei.

Respiro piano. Adesso so con precisione cosa desidero. Guardo l'uomo che mi siede accanto e scandisco: - Ho voglia di una follia. - Per tanti anni ho fatto la brava, donna e madre modello. Adesso mia figlia è cresciuta e io ho davvero bisogno di una bella follia.

- Facciamola, allora. - Nei suoi occhi c’è lo stesso lampo di sfida di una volta. - Dai, ho voglia di sparire con te. Andiamo a Siena, a passeggiare a Piazza del Campo, in un'ora e mezzo ci siamo... O a Verona, ad aspettare l'alba sul ponte degli Scaligeri...

- O a Sirmione, in barca sotto la luna - , esclamo io, continuando il gioco di tanti anni prima. - Oppure...

- Oppure qui, dietro l’angolo...? - e non finisce la frase. Dietro l’angolo, a quei tempi, c’era il piccolo albergo dove avevamo fatto l’amore la prima volta. E quella camera minuscola ci sembrava più bella di Piazza del Campo o dei riflessi di luna sul lago.

Rimaniamo muti a guardarci.

- Andiamo -, dice poi lui, alzandosi. Un attimo dopo siamo già fuori, con l'allegra impazienza di due adolescenti.

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